Un tentativo di recupero medico del difetto fisico è talvolta attestato e potenzialmente possibile, seppure difficile da ricostruire a causa della scarsità dei passi che lo documentano e dalla disomogeneità della loro collocazione. La forma più blanda di intervento previsto dalle fonti mediche è rappresentata dal massaggio: la parola greca che lo indica, anatripsis, indica l’atto dell’accarezzare, del manipolare, ma anche la capacità di ottenere, come risultato, una materia liscia e uniforme. Il termine, che è già attestato nelle fonti omeriche per indicare i trattamenti a base di oli rilassanti e profumati cui vengono sottoposti dopo la battaglia i corpi dei guerrieri per rilassarli e lenirne i dolori, diventa nei testi attribuiti ad Ippocrate parte integrante di una vera terapia medica. Essa può contribuire a risolvere problemi di lussazione degli arti, per esempio della spalla, i cui difetti di collocazione tendono a recidivare e debbono essere trattati con l’ausilio di tecniche di manipolazione condotte con sistematicità e dolcezza (come è attestato dal trattato sulle Articolazioni). L’importanza della correzione attraverso tecniche di massaggio è tale che Ippocrate allude alla stesura di un trattato interamente dedicato al tema, di cui però non esistono tracce; ciononostante, un intero capitolo dell’opera Sull’officina del medico è dedicato ai tentativi manuali di rilassare corpi contratti e irrigiditi con frizioni a base di olio, miele e vino o di rafforzare tessiture fisiche eccessivamente lasse o indebolite da un eccessivo dimagrimento con interventi disseccanti a base di sostanze calde e secche. Il quinto libro delle Epidemie ippocratiche riporta, infatti, il caso clinico di un cuoco che, affetto da un grave deficit uditivo secondario a un’affezione cerebrale (frenite), viene trattato attraverso massaggi umettanti e riscaldanti. Le straordinarie virtù della massoterapia continuano a essere celebrate anche nella trattatistica romana: Aulo Cornelio Celsoricorda nel XIV capitolo del trattato De medicina l’uso terapeutico del massaggio previsto dalla medicina asclepiadea, che lo associa nel trattamento di svariate patologie alla prescrizione dei bagni terapeutici e della gestazione, cioè alla succussione e all’oscillazione del paziente trasportato su una lettiga o su una sedia gestatoria. Secondo le indicazioni di Celso, il massaggio è il trattamento adeguato degli stati cronici che hanno bisogno di terapia protratta nel tempo; il massaggio localizzato rappresenta il trattamento elettivo delle debolezze o deformità innate, tra le quali vanno annoverate le paralisi, che ottengono giovamento dalle frizioni rafforzanti. In questi casi, la correzione manuale del difetto assume il ruolo di vero e proprio strumento terapeutico, in grado di sostituire l’efficace azione dei farmaci (alicui medicinae locum facere). Analoga concezione del massaggio è presente nella citata opera di Sorano di Efeso, che ne indica gli usi nella correzione del corpo del neonato atonico o deforme: l’ostetrica, usando acqua tiepida e oli profumati, modellerà gli arti fino a far loro assumere la giusta conformazione e posizione; allenterà la tensione vertebrale tramite stiramento dei dischi appendendo il bambino dai talloni per brevissimi periodi; ammorbidirà i legamenti attraverso circumduzioni che facilitano l’espulsione di materia embrionale potenzialmente patogena; avvicinerà i piedi del neonato e li informerà con la posizione corretta; frizionerà quotidianamente braccia, gambe e schiena per correggerne i difetti e anche a mero scopo di prevenzione. Lo stesso Galeno, erede e reinterprete della medicina ippocratica nella Roma di Marco Aurelio e Commodo, indica il massaggio come strumento complementare alla terapia medica nel trattamento di specifiche forme patologiche, anche congenite.

Un secondo grado d’intervento correttivo, più invasivo, è quello garantito dalla disciplina che oggi chiamiamo ortopedia. Una serie di interventi sull’osso che, oltre alla riduzione delle fratture, prevedono il trattamento dei malposizionamenti ossei e delle lussazioni anche congenite è, nella medicina antica, parte di una competenza tecnica che finisce per combaciare con la dimensione etica; riportare il corpo al suo stato “secondo natura”, significa ripristinare le condizioni di equilibrio del quale la malattia rappresenta la temporanea sospensione. Esiste, inoltre, la possibilità sporadica di documentare che in tutto il mondo antico del Mediterraneo, ivi compreso l’Egitto faraonico, fosse in qualche modo noto, se non diffuso, l’uso di protesi correttive che, replicando in legno o in metallo la forma dell’arto mancante o danneggiato, consentivano il mantenimento di un certo grado di funzionalità. In verità, per il mondo greco e romano abbiamo attestazione archeologica certa di una sola protesi in bronzo di arto inferiore, scavata alla fine del XIX secolo nella ricca città di Capua, nota per la sua opulenza. In una tomba maschile, accanto a uno scheletro mancante di un arto inferiore, è stata trovato un arto artificiale di bronzo. Esiste un’eccezione, però, di tutto rispetto; la testimonianza di Galeno, studiata da Danielle Gourevitch e presente nel V libro del trattato De sanitate tuenda. Galeno narra di un bambino nato con una forte sproporzione e insufficienza di sviluppo del torace, probabilmente non corretta o mal corretta da una nutrice inesperta delle tecniche del massaggio e del bendaggio preventivo e terapeutico. Per favorire la correzione del difetto, Galeno prescrive una combinazione complessa di bendaggi costrittivi nella parte inferiore del corpo, ed esercizi ginnici, di canto e di respirazione volti all’aumento della funzionalità respiratoria e all’allargamento della cassa toracica. Nei fatti, interventi riabilitativi a tutti gli effetti; Galeno ne attribuisce il successo non solo alla giovane età del paziente, che non doveva aver compiuto i quindici anni e quindi poteva essere incluso in un’età della vita in cui la costituzione del corpo è ancora, secondo la teoria delle età di matrice ippocratica, ricca di umidità che lo rende plasmabile.

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