La fragilità del parto si estendeva alle prime fasi della vita del neonato ed è sottolineata da riti di passaggio che indicano il superamento di fasi di rischio per la vita dei bambini. Le prime settimane dopo la nascita sono le più pericolose: il consiglio di Aristotele di attribuire nome al neonato solo dopo la prima settimana dal parto è ancora presente nella letteratura latina. Plutarco (Quaest. Rom. 288C) dice che, prima della perdita del cordone ombelicale, il neonato è più simile a una pianta che a un uomo; la letteratura medica, da Celso a Sorano a Galeno, sottolinea che i bambini hanno predisposizione verso malattie che molto rapidamente diventano fatali. Prima della dentizione, tra queste si annoverano afte, ulcere della bocca, tosse, e infiammazioni intestinali; le diarree sono mortali per i bambini fino ai dieci anni (De med., 2.8.30). Si stima che il 50% dei bambini non arrivasse al decimo anno di età e che il 20-30% dei neonati morisse entro il primo anno di vita. In alcuni contesti, le percentuali potevano essere più alte. Un elevato numero di figli pro-capite poteva compensare l’alto tasso di mortalità attesa. L’allattamento, nelle classi nobili ad opera di balie, era protratto a lungo, anche come sistema per proteggere i bambini dalle malattie infettive, prima causa di mortalità.
La fragilità dei bambini nei primi mesi di vita è sottolineata dalle pratiche funerarie: prima del compimento del settimo mese, l’incinerazione non è praticata (Plinio, NH VII, 16,72) e in contesti periferici i bambini possono essere sepolti al di fuori di contesti cimiteriali, sotto al pavimento o nelle mura di casa, senza che questo comporti rischio di contaminazione religiosa degli abitanti. Se la morte di madre e figlio è simultanea o vicina, i bambini possono essere deposti tra gli arti inferiori della madre o sul suo ventre.

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