Dalla necropoli Collatina, la più vasta area cimiteriale di Età Imperiale (I-III sec. D.C.) rinvenuta a Roma, provengono i resti scheletrici di una donna di oltre 50 anni. La tomba semplice a fossa, priva di corredo funebre, suggerisce umili origini per questa donna di gracile costituzione, ma con i segni scheletrici di una vita attiva e faticosa.
Gli esiti di diversi eventi traumatici sono presenti in varie parti dello scheletro: numerose depressioni del tavolato cranico testimoniano almeno sette episodi traumatici causati da corpi contundenti, mentre alcune alterazioni nella superficie interna sono riconducibili ad un’emorragia endocranica. Anche la mandibola è coinvolta con la frattura di entrambi i rami mandibolari. Le ossa dell’avambraccio destro mostrano esiti di frattura; la localizzazione lascia supporre che la donna si sia procurata la frattura alzando il braccio per difendersi da un’aggressione. Segni traumatici sono presenti anche nelle clavicole. Nelle ossa del bacino alcuni marcatori scheletrici suggeriscono che abbia partorito diverse volte nel corso della vita.
La presenza di traumi multipli, quasi tutti avvenuti in tempi diversi e con segni di riparazione, indica una vita caratterizzata da numerosi episodi di violenza che lasciano ipotizzare ripetuti maltrattamenti.

Tutte le fratture sono riparate ad eccezione della frattura del ramo mandibolare di sinistra per il quale evidentemente non era stato possibile effettuare l’immobilizzazione necessaria alla formazione del callo osseo. Le lesioni del cranio sembrano dovute ad un corpo contundente, ad esempio un bastone, che in alcuni casi ha provocato la frattura del tavolato cranico con emorragie endocraniche, tali da modificare l’osso ma non sufficienti a provocare la morte della donna. Tutte le lesioni craniche sono riparate e la loro sovrapposizione indica che sono avvenute in tempi diversi. il quadro traumatologico evidenziato sullo scheletro rivela una vita caratterizzata da diversi episodi di violenza, che fanno ipotizzare che sia stata vittima di ripetuti maltrattamenti.

Non conosciamo il ruolo della donna, benché l’assenza di oggetti di corredo e la semplicità della fossa in cui era sepolta suggeriscono umili origini, oppure che fosse una schiava. In ogni caso, per la legge romana una donna non era un vero civis romanus, ad esempio non aveva diritto di voto nè poteva testimoniare in un processo, ed era sottomessa all’autorità maschile. In famiglia dipendeva dal padre, da sposata dal marito e da vedova da un tutore. Una donna non possedeva i propri beni e neppure un nome proprio, assumendo quello della gens di appartenenza. Così due sorelle potevano avere lo stesso nome e distinguersi con l’appellativo ‘minore’ o ‘maggiore’: anche la negazione del nome indica l’assenza di identità. Per una donna non era possibile divorziare neppure di fronte ad adulterio, mentre la legge proteggeva i mariti di donne infedeli, persino nel caso dell’omicidio di moglie ed amante.

Nella maggior parte delle culture l’uomo è la figura dominante, mentre la donna rappresenta la vittima più comune di abusi. La legge romana puniva gli abusi domestici da parte del marito, ma sappiamo che la donna ricopriva un ruolo di secondo piano, e le fonti storiche gettano scarsa luce sulle condizioni della vita femminile tra i ceti popolari. Pochi esempi di mariti violenti o di abusi domestici sono riportati nella storia romana e riguardano soprattutto le classi sociali facoltose o importanti. Ad esempio, l’imperatore Nerone fu sospettato di aver torturato e ucciso la sua prima moglie Claudia Ottavia (Tacito, Annali XVI.6). In seguito, sposò Poppea Sabina la Giovane che rimase uccisa durante una sua violenta aggressione, mentre era incinta. Altri esempi di violenza domestica sono riferiti all’imperatore Commodo che uccise la propria moglie e la propria sorella.

Le fonti storiche testimoniano gli scarsi diritti costituzionali della donna ed il basso ruolo nella società romana durante l’età imperiale, ma molto poco è conosciuto sulle condizioni di vita reali e sulla violenza domestica tra la popolazione comune.

(Ortner D. J., Putschar W. J. (1985), Identification of pathological conditions in human skeletal remains, Smithsonian Institute Press, Washington DC.)

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