E’ ben noto che le donne di condizione sociale libera, sia nel mondo greco che in quello romano, non erano dedite ad attività lavorative che non fossero quelle legate al mantenimento della casa e alla cura domestica. Non è possibile una sintesi esaustiva di condizioni che variano notevolmente in base ai luoghi, agli usi, ai costumi locali e a una cronologia troppo ampia per essere riassunta in modo semplificato. Alcune caratteristiche accomunano, tuttavia, condizioni diverse: le donne non possono accedere alle attività maschili,  sono escluse dal diritto di cittadinanza e in genere sono sottoposte a tutela e sottomissione giuridica all’uomo; sono ovviamente escluse dalla vita politica; possono accedere a riti riservati; non possono partecipare alla formazione e impiegarsi nello studio, con l’eccezione concessa alle etere straniere e alle prostitute, che  potevano formarsi nella musica, nella danza, nel teatro e talvolta raggiungere risultati notevoli, come nel caso di Aspasia, che Plutarco ricorda come una donna libera e intelligente, capace di appassionare Socrate e di convincere Senofonte a sceglierla come consigliera. A Sparta, possono partecipare alla formazione fisica, ma solo nella misura in cui una costituzione forte consente maggiore facilità nella generazione e nell’allevamento dei figli.

Le schiave e le donne libere di condizione umile potevano essere impiegate, in Grecia, in contesti di lavoro.

Anche a Roma, dove le donne sembrano godere di uno statuto giuridico più favorevole (per esempio possono ereditare e disporre, seppure sotto il controllo di un membro maschio della famiglia, del patrimonio), l’idea diffusa che le connota come un genere fisicamente e mentalmente difettuale limita la vita delle donne di condizione sociale libera agli ambiti domestici e familiari, seppure con maggiore concessione di libertà sociali, come per esempio quella di partecipare ai banchetti.

Certamente, schiave e libere di bassa condizione sociale erano impiegate a Roma in contesti produttivi; nonostante la ricostruzione delle attività occupazionali dai resti scheletrici sia per gli antropologi un lavoro piuttosto complesso e nonostante il fatto che le impronte muscolari sull’osso siano segni che possono essere messi in relazione con attività molto variegate, molte necropoli romane di epoca imperiale documentano, attraverso la rilevazione dei segni di stress muscolare, l’impiego delle donne in lavori agricoli e nelle fullonicae. Nelle tintorie, infatti, le azioni ripetute di stesura dei tessuti e dei pellami giustifica l’alta frequenza rilevata sulle ossa femminile di segni compatibili con movimenti di abduzione, estensione e rotazione delle braccia, mentre  segni che riconducono a moti di flessione ed estensione ripetuta degli arti inferiori possono essere compatibili con altre azioni lavorative, come quelle connesse alla pigiatura dei tessuti con i piedi all’interno dei catini.

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